“Il godimento della Musica forma l’armonia interiore” (Confucio)
Molto prima che la scienza cominciasse ad indagare sul nostro amore per la musica, la musica ha cominciato ad essere impiegata come mezzo terapeutico. La sua capacità di rilassare, stimolare la comunicazione, avvicinare le persone, ha sempre fatto della musica un potente strumento per la ricerca del benessere. Tuttavia, bisogna essere cauti nel parlare di effetti benefici della musica: non è detto che, poiché ci fa stare bene, la musica possa cambiarci rendendoci più belli o più intelligenti. E non è nemmeno detto che si possa sempre pensare di utilizzarla nelle situazioni difficili o per risolvere un particolare problema.
La Musicoterapia ha radici antichissime. Anche prima che qualcuno le desse questo nome, c’era già chi utilizzava consapevolmente la musica per lenire il dolore o la sofferenza psicologica. In tutte le società del mondo antico la musica veniva impiegata per raggiungere il benessere e curare i sofferenti.
Nella Bibbia, per esempio, si racconta che quando Re Saul era turbato da uno spirito cattivo, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava, si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui.
Oggi, Musicoterapia significa soprattutto utilizzare suono, musica e movimento per migliorare la comunicazione o per ottenere alcuni particolari benefici terapeutici in certe categorie di soggetti, come anziani o bambini con handicap. In Italia la musicoterapia è utilizzata soprattutto per i bambini autistici o con problemi di comunicazione, handicap sensoriali o ritardo mentale, ma la si impiega anche sugli adulti con malattia di Alzheimer o altre forme di demenza, e in malattie neurodegenerative, come il Parkinson. Inoltre ci sono musicoterapie studiate per la riabilitazione motoria dei malati di sclerosi multipla e dei pazienti che hanno subito un ictus, rimanendo parzialmente paralizzati. Il modello di riferimento per molti centri è quello proposto dal neurologo e psicoterapeuta argentino Rolando Benezon, che si basa non tanto sulla produzione di musica da parte del paziente, ma sulla relazione tra paziente e terapeuta, che viene facilitata dalla presenza di suoni o strumenti musicali. L’idea di fondo è che ciascuno di noi abbia una propria identità sonora, composta da tutti i suoni e i ritmi che hanno accompagnato la nostra vita. L’identità sonora è perciò qualcosa di dinamico, unico e in continua espansione. L’interazione con il musicoterapeuta ha lo scopo di ricomporre questa identità e lo strumento musicale, il suono, la voce, e il movimento sono gli intermediari dell’interazione. In senso lato, pare che la musicoterapia incida sulla modulazione di cinque fattori: l’emozione, l’attenzione, la cognizione, il comportamento, la comunicazione. Sarebbe questo, secondo molti, il motivo del suo impiego anche nei casi di depressione, perché potrebbe modificare le attività di alcune strutture cerebrali che nei depressi funzionano meno o peggio.
Alcuni medici ipotizzano l’applicazione della musica nella riabilitazione neurologica, sulla base della sua capacità di modificare l’anatomia e la funzione del nostro cervello. L’esercizio della musica, infatti, si è dimostrato in grado di stimolare le capacità di adattamento del nostro sistema nervoso centrale, e quindi si è pensato che possa anche migliorare le funzioni nervose quando una malattia le limita. Non ci deve sorprendere, quindi, se già oggi in certi settori della medicina si comincia a considerare normale affiancare alle terapie mediche anche quelle a base di musica.
Tratto da “Perché ci Piace la Musica” di S. Bencivelli.